La trasmissione delle aziende di padre in figlio diventa sempre più difficile

di La redazione Commenta

 Per tantissimi anni l’imprenditoria italiana si è avvalsa di un modello di business molto semplice e immediato, che presupponeva il passaggio generazionale delle imprese di padre in figlio, senza scossoni né danni per la produzione stessa, anzi talvolta cogliendo nel rinnovamento generazionale anche decisivi elementi di successo. 

Più di 20 mila multinazionali italiane operano all’estero

L’avvento della globalizzazione, tuttavia, qualche decina di anni fa, è giunto a scombinare le carte in tavola e le regole del gioco, con il risultato ovvio che in paesi come l’Italia in cui la tradizione generazionale delle imprese ancora è modello predominante il mondo aziendale ora fatica a fare il suo dovere.

Più di 400 aziende italiane sono passate in mano di imprenditori stranieri

Il modello a conduzione famigliare, infatti, costa in Europa circa 600 mila posti di lavoro all’anno, ma in Italia viene ancora applicato dal 90 per cento delle imprese. E a parte alcuni rari casi felici di sopravvivenza, in genere, le aziende sono costrette a soccombere dopo il terzo ciclo, o meglio, per essere più precisi, alla terza generazione non sopravvive che il 5 per cento delle imprese. 

Oggi dunque l’applicazione del modello è diventata particolarmente difficile e rischiosa. Stando alle ultime statistiche, su 80 mila imprenditori che applicano il modello del family business, il 15 per cento supera il primo passaggio, il 15 per cento non supera il secondo e in ogni caso il 63 per cento delle imprese coinvolte non supera il quinto anno di vita.

A questo fenomeno deve aggiungersi quello della svendita dei marchi storici italiani all’estero, il fatto che la classe imprenditoriale italiana abbia un’età molto elevata, e le dimensioni ridotte del 99 per cento delle imprese che vi sono nel nostro paese, cioè PMI.

 

 

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