Roma:una donna su due con contratto precario

di La redazione Commenta

La Cgil conferma: in Italia e, in particolare, a Roma dove è avvenuto un preciso monitoraggio della situazione, una donna su due è senza posto fisso. Sarà l’effetto della crisi economica o la difficile posizione che, da sempre si trovano ad affrontare le esponenti del sesso femminile, ma la situazione non è certo delle migliori. Questo anche perchè oggi non è più come una volta: il “sesso debole” vuole vivere la doppia esperienza della maternità e della carriera e, poi, con un solo stipendio in famiglia, non è possibile arrivare a fine mese quasi mai. Ciò porta, ultimamente, ad accontentarsi di contratti a tempo, poco affidabili o, peggio, del tutto inesistenti. Eppure spesso il contributo delle ragazze è importante, seppure ancora troppo limitato a settori particolari e occupazioni specifiche, come l’insegnamento, la ristorazione e i servizi.

Pochissime le donne a capo di una azienda o con una posizione lavorativa rilevante, sia nel settore privato che nelle pubbliche amministrazioni. Si parla da giorni di una realtà che deve cambiare, ma da tempo tutto rimane fermo o quasi. L’occupazione femminile resta bloccata in due piani differenti ma paralleli: la prima legata ad una rosa limitata di professioni, bassi profili professionali, posizioni subordinate, retribuzioni basse, scarse opportunità di carriera. A fianco si parla del cosiddetto “soffitto di cristallo”, con grosse difficoltà ad accedere alle gerarchie aziendali. Un problema già evidenziato dai movimenti femministi negli anni ’70 e mai ribaltato.

Il disagio professionale, resta più o meno identico pure a livello regionale con un tasso di disoccupazione generale nell’ultimo trimestre è pari all’8,9%. Se parliamo di donne, invece, solo nel Lazio arriviamo all’11% con un aumento di 2 punti percentuali rispetto al secondo trimestre 2010 e di quasi 3 punti percentuali rispetto al 2007.A pagare il prezzo più alto sono i servizi e l’industria. A questo va sommato il dato relativo alla cassa integrazione e agli inoccupati, ed ecco che si arriva al 13%.

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