Made in Italy: sentenza esemplare in Cina

di La redazione Commenta

 Il Made in Italy, non si tocca: contraddistingue l’appartenenza ad un popolo, le sue tradizioni più vere e la capacità di trasformare un prodotto fino a renderlo unico e particolare, pronto per il mercato, prima e meglio di qualunque altro Paese. Tuttavia, l’Oriente negli ultimi decenni è il nemico più temibile di alimenti, oggetti, abbigliamento e quant’altro siano frutto della genialità del Belpaese e, allora è arrivato il momento di difendere l’originalità del Made in Italy a tutti i costi.

Per questo nei giorni scorsi ha fatto notizia l’arrivo, finalmente, di una sentenza esemplare proprio a favore del Made in Italy nel Paese dagli occhi a mandorla. Qui una azienda infatti, è stata condannata per aver preso in prestito il nome di un noto marchio italiano per vendere meglio le sue lavatrici. Assolutamente incredibile, perchè a dispetto di una mancanza quasi totale di qualità e anzi di prodotti il più delle volte potenzialmente pericolosi, la Cina realizza milioni di “gemelli”che a prima vista sono assolutamente uguali. Insomma, un luogo propone qualcosa e subito i cinesi copiano, lavorando come matti e raggiungendo risultati eccellenti, almeno a livello estetico ad un primo sguardo distratto.

Il tribunale di Shanghai, proprio in difesa del Made in Italy, quindi, ha condannato la Foshan Ariston Electric Appliances a pagare 30mila euro di multa e cambiare denominazione. Ma non è mica finita qua, per una sentenza che è davvero esemplare. La ditta di Guangdong, infatti, dovra’ inoltre pubblicare sui quotidiani locali un comunicato in cui ammette di aver utilizzato il nome dell’azienda marchigiana Ariston in maniera fraudolenta. E’ chiaro, tutto a proprie spese: pagare, quindi, per ammettere l’errore voluto a tutti coloro che leggono i giornali in Cina. Bisogna ammettere, però, che anche in questo i cinesi sono particolari: quasi certamente in Italia una azione del genere non sarebbe mai potuta accadere, perchè forse siamo un pò tropo indulgenti ed evitiamo il confronto diretto.

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